Prima di tutto spieghiamo cosa significa End of Waste. Si tratta di quel processo di recupero eseguito su un rifiuto. Badate bene, non il risultato finale, ma quell’insieme di operazioni che permettono a un rifiuto di tornare a essere utile come prodotto.
Sembrerebbe dunque che end of waste, cessazione della qualifica di rifiuto al termine di un processo di recupero, sia sinonimo di economia circolare.
Ma è davvero così? Non del tutto. Cerchiamo quindi di spiegare con parole semplici cosa si intende per cessazione della qualifica di rifiuto.
La nozione di end of waste nasce in ambito comunitario con la direttiva 2008/98/CE del 19 novembre 2008, direttiva quadro in materia di rifiuti. Nella Ue un rifiuto cessa di esserlo quando è stato sottoposto a un’operazione di recupero e soddisfa tutte le precise condizioni stabilite dall’art. 6 della direttiva quadro, come modificata dalla Direttiva 2018/851/UE.
Devono essere soddisfatte queste condizioni:
-la sostanza o l’oggetto sono destinati ad essere utilizzati per scopi specifici;
-esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;
-la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;
-l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.
A questo punto il rifiuto risultante dal processo di recupero non è più tale in quanto è oggettivamente divenuto un prodotto.
Ergo, la sottoposizione del rifiuto a un’operazione di recupero affinché possa cessare di essere tale, deve essere intesa quale operazione il cui principale risultato è quello di permettere al rifiuto di svolgere un ruolo utile, sostituendo altri materiali che sarebbero altrimenti utilizzati per assolvere ad una particolare funzione all’interno dell’impianto o nell’economia in generale (come ha stabilito Cass. Pen. n. 19211 del 21 aprile 2017).
Nel 2010 l’Italia, nel recepimento della normativa comunitaria, ha emanato il Dl del 3 dicembre 2010, n. 205 che ha integrato la norma di riferimento italiana in materia di ambiente: così il Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152 – Testo Unico ambiente, si è arricchita di una nuova disposizione ad hoc: l’art. 184-ter, rubricato “Cessazione della qualifica di rifiuto”.
La norma aggiunge, al comma 2, che “l’operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni”, conformandosi a quanto già suggerito dal Legislatore comunitario. Ciò significa, in pratica, che il controllo effettuato su un materiale qualificato come rifiuto che sia volto a verificarne le caratteristiche affinché esso possa cessare di essere tale è un’operazione di recupero a tutti gli effetti e necessita, perciò, di essere autorizzata secondo le procedure previste dalla Parte Quarta del citato Testo Unico ambientale.
Se dunque l’economia circolare è in sostanza un nuovo modello economico, un modo nuovo di consumare e di pensare l’utilizzo della materia, il processo di end of waste trasforma un rifiuto in una materia riutilizzabile in altri cicli produttivi. E’ da intendersi come una nuova possibilità di sfruttare le capacità di quel materiale. Aiuta la materia a non finire in discarica o negli inceneritori ma non assolve al tema della prevenzione. La prevenzione invece sta nel processo decisionale aziendale che definisce la gerarchia sui rifiuti coerentemente ai principi dell’economia circolare.
Ma End of Waste e Materie Prime Seconde sono termini intercambiabili?
Il concetto di Materia Prima Seconda o di Materie Secondarie si collega è vero al reimpiego del materiale che, in assenza di tale requisito, torna ad essere rifiuto. Ma questi concetti devono oggi essere sostituiti con quello di End of Waste. Dunque oggi il termine MPS è da considerarsi desueto e non più caratterizzato da una corrispondenza normativa, ai sensi dell’articolo 184-ter.
Non possiamo non parlare, spiegando il processo End of Waste, della sentenza n. 1229 del 28 febbraio 2018. Perché segna un passo decisivo.
Il Legislatore comunitario ha specificato che “se non sono stati stabiliti criteri a livello comunitario in conformità della procedura di cui ai paragrafi 1 e 2, gli Stati membri possono decidere, caso per caso, se un determinato rifiuto abbia cessato di essere tale tenendo conto della giurisprudenza applicabile” (art. 6, comma 4). Si tratta, dunque, di criteri che operano quali prescrizioni volte ad assicurare che determinate operazioni di recupero conducano effettivamente a generare prodotti. E’ il caso, ad esempio, del regolamento 333/2011 relativo a rottami di ferro, acciaio e alluminio, del regolamento 1179/2012 sui rottami di vetro e del regolamento 715/2013 sui rottami di rame.
Prima della sentenza, la sussistenza delle quattro condizioni da rispettare per determinare il processo di End of Waste era in capo alle singole Regioni italiane. La sentenza del Consiglio di Stato, ribalta il processo autorizzativo, affermando che: «Il destinatario del potere di determinare la cessazione della qualifica di rifiuto è, per la Direttiva, lo “Stato”, che assume anche
obbligo di interlocuzione con la Commissione. La stessa Direttiva UE, quindi, non riconosce il potere di valutazione “caso per caso” ad enti e/o organizzazioni interne allo Stato, ma solo allo Stato medesimo, posto che la predetta valutazione non può che intervenire, ragionevolmente, se non con riferimento all’intero territorio di uno Stato membro.»
In sostanza, il Consiglio di Stato riserva in via esclusiva allo Stato la possibilità di determinare i criteri di dettaglio sulla definizione delle condizioni che permettono ai rifiuti di poter diventare nuovi prodotti, realizzando quel processo di recupero risorse definito End of Waste. Il Consiglio di Stato esclude perciò espressamente, “un potere di declassificazione ex novo in sede di rilascio di nuove autorizzazioni”, aggiungendo che “né, d’altra parte, un potere così conformato potrebbe essere ritenuto conforme al quadro normativo di livello comunitario e costituzionale”. Le Regioni quindi sono sprovviste della facoltà di individuare autonomamente i criteri per la cessazione della qualifica di rifiuti, in base ai quali concedere tali autorizzazioni. Il risultato riguarda proprio gli impianti virtuosi che estrapolano dai rifiuti quei nuovi prodotti da inserire a mercato.
Le novità. E’ entrato definitivamente in vigore il 24 agosto 2021, il decreto 188/2020 – che disciplina a livello nazionale i criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto per la carta e cartone oggetto di raccolta differenziata – superando, ma nella continuità, la disciplina delle materie prime secondarie del DM 5.2.1998. Unirima, Comieco e Assocarta, hanno prima collaborato alla stesura e poi, dopo la pubblicazione in febbraio, per mesi affinché tale decreto entrasse in vigore e la filiera si adeguasse a quanto previsto da esso.