I trattamenti termici dei rifiuti: sono davvero pericolosi per la salute?
Nonostante i rifiuti siano nati contemporaneamente alla presenza dell’uomo sulla terra e alla sua capacità di produrre oggetti, fino a pochissimo tempo fa questi non erano considerati un problema, perché tutto ciò che derivava dalla loro presenza non preoccupava né i singoli né i gruppi sociali.
Con l’arrivo delle società complesse, la nascita di veri e propri imperi, la quantità di rifiuti prodotta cresce a dismisura. Verrebbe da chiedersi, in epoca romana per esempio, dove e come venivano smaltiti. E la risposta è semplice. Non costituendo per la mentalità dell’epoca un problema, in nessun modo, semplicemente venivano gettati per le strade.
La consapevolezza collettiva che il rifiuto è un affare da “gestire” emerge solo nel medioevo quando si apprende che la diffusione di malattie ed epidemie è spesso collegata all’igiene e dunque al mancato smaltimento adeguato dei rifiuti.
Cambierà qualcosa? Molto poco. I rifiuti continuarono ad essere riversati nelle strade nonostante venissero emanate le prime norme che obbligavano i cittadini a gettare la spazzatura nel sottosuolo. Iniziarono a essere scavati dei “butti”, pozzi per i rifiuti prodotti nelle case. Siamo ancora a una gestione privata, familiare.
Per arrivare alla consapevolezza che ci fosse bisogno di una gestione invece collettiva e dunque “statale”, dobbiamo arrivare alla prima rivoluzione industriale. Perché è con la nascita di questi nuovi scarti che il concetto di rifiuto si collega al concetto di problema.
L’età moderna è segnata da due fenomeni che fanno quadruplicare la produzione di scarti: lo sviluppo industriale, come abbiamo già detto e l’incremento demografico che ne conseguì.
Vale la pena ricordare le primissime iniziative legislative in merito. In Inghilterra, il Public Health Act del 1848, la legge sulla salute pubblica la quale stabiliva “che fossero i locali uffici di sanità ad occuparsi del servizio. In Francia dobbiamo aspettare il 1883, quando fu emanato un decreto per “obbligare i proprietari delle case di Parigi a fornire ai loro inquilini un contenitore con coperchio per la raccolta dei rifiuti domestici”. In Italia, invece, a provocare l’interesse del legislatore sarà l’ondata di colera del 1884.
Abbiamo fatto un breve excursus storico per farvi meglio capire che la materia che tratta la gestione dei rifiuti è storicamente giovanissima e la produzione di questi ultimi è cresciuta in modo smisurato in pochissimi decenni. Ed è forse anche per questo che l’umanità si è trovata impreparata ad affrontarla.
Oggi però abbiamo tutti, come singoli cittadini e come Stati, ben chiaro che i rifiuti sono un problema che dobbiamo imparare a gestire. E soprattutto, qui arriva un nuovo concetto, dobbiamo saper smaltire.
Per conoscere la situazione attuale in Italia in merito ai rifiuti industriali, dobbiamo rifarci al Rapporto Rifiuti Speciali (ed.2021) dell’ISPRA, che riporta però i dati pre pandemia relativi all’anno 2019.
Partendo da questi numeri che fotografano molto bene la situazione, si orienterà il Piano nazionale di ripresa e resilienza. La sfida è quella di diminuire drasticamente la quantità di rifiuti speciali attraverso l’ottimizzazione dei cicli produttivi e la eco progettazione, applicando tecniche in grado di rendere i prodotti maggiormente riciclabili.
“Il PNRR rappresenta un’ulteriore occasione per migliorare la nostra capacità di recupero dei materiali cercando di incrementare le prestazioni, anche energetiche, in campo edilizio – aveva sottolineato a giugno il Direttore generale dell’ISPRA Alessandro Bratti– Occorre potenziare e migliorare l’impiantistica per raggiungere gli obiettivi europei e per proporci sempre di più come leader a livello europeo nell’economia circolare”.
Ecco numeri che fotografano la situazione nel nostro Paese.
L’Italia ha prodotto 154 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, 10,5 milioni di tonnellate in più prodotte nel 2019 (come cresce il Pil cresce anche la quantità di rifiuti). Di queste 70 milioni di tonnellate sono costituite dai rifiuti provenienti dal settore delle costruzioni e demolizioni. I rifiuti speciali da prodotti chimici rappresentano, nel loro insieme, una percentuale pari al 13,2% del totale prodotto. Gli oli esauriti e i combustibili liquidi si attestano al 9,6% del totale. I rifiuti derivanti dalle operazioni di costruzione e demolizione, si attestano al 7,8% del totale prodotto. Quelli da processi termici si collocano al 5,9%, mentre i rifiuti dalla lavorazione superficiale di metalli e plastica al 4,9%.
Come recuperiamo e ricicliamo?
Ricicliamo materia dal 69 % dei rifiuti, solo il 7,3% è smaltito in discarica.
Recuperiamo il 78,1% attestandoci sopra l’obiettivo europeo di recupero (70% entro il 2020). Quindi siamo molto efficienti soprattutto su rifiuti da demolizione e costruzione.
Mentre per quanto riguarda i veicoli fuori uso siamo al di sotto di quanto richiesto dall’Europa in termini di recupero totale del veicolo (84,2% a fronte di un target UE del 95%).
Le attività di trattamento dei rifiuti ed il risanamento ambientale contribuiscono per il 25,1% (38,6 milioni di tonnellate) al totale dei rifiuti, mentre una percentuale pari al 18,9% è rappresentata dall’insieme delle attività manifatturiere (circa 29,1 milioni di tonnellate).
Situazione a livello territoriale:
La produzione dei rifiuti speciali si concentra nel nord Italia, con 88,6 milioni di tonnellate (pari al 57,6% del dato complessivo nazionale). In quest’area del Paese si trovano oltre la metà degli impianti di gestione, soprattutto in Lombardia, dove sono localizzate 2.180 infrastrutture, il 20,1% del totale nazionale.
Al Centro si producono 27 milioni di tonnellate (17,5% del totale), al Sud a 38,3 milioni di tonnellate (24,9%).
C’è poi un dato su cui dovremmo riflettere per impostare la nostra strategia di economia circolare anche in previsione proprio del PNRR: oltre un quarto dei rifiuti speciali sono “rifiuti da rifiuti”.
Parliamo di 38,6 milioni di scarti prodotti dalle attività di recupero e smaltimento e dalle attività di bonifica e risanamento ambientale. A questi vanno aggiunti i rifiuti del trattamento delle acque.
Se i rifiuti da costruzione e demolizione sono i primi del Paese, i secondi per quantità sono i “rifiuti da rifiuti”. C’è dunque qualcosa che non sta funzionando.
Bene ma non benissimo.
L’Italia è un Paese industriale che a livello europeo rappresenta un punto di rifermento per il riciclo con oltre due terzi dei rifiuti speciali che vengono recuperati.
Ma il sistema è molto fragile. Questo lo si evince dal dato sull’export che registra un aumento del 13,4% rispetto al 2018. Il 25% è diretto verso recupero energetico e discariche. Discarica e stoccaggi assorbono l’11% del totale dei rifiuti. Abbiamo dunque ancora difficoltà nel sistema dei trattamenti finali. In parole povere continuiamo a mandare all’estero quantità ingenti di rifiuti pagando altri Paesi del nord Europa perché li smaltiscano al posto nostro.
Anche in questa materia possiamo riscontrare uno squilibrio Nord e Sud importante. Nella sola Lombardia viene smaltito il 26% del totale rifiuti speciali italiani.
Dunque non solo la produzione ma anche la gestione di rifiuti speciali si concentra nel Nord Italia del Paese. Circa 6.000 sono gli impianti di recupero di materia, 81 gli inceneritori e circa 300 le discariche, 173 gli impianti di compostaggio.
Cosa significa questo?
Che inceneriamo pochissimo, solo 1,2 milioni di tonnellate e a coincenerimento 2 milioni di tonnellate. Ma, non perché siamo più bravi degli altri, semplicemente perché esportiamo verso inceneritori di altri paesi europei.
Perché agli italiani fanno paura gli inceneritori e i termovalorizzatori?
C’è qualcosa di irrazionale in questo timore ancestrale dei nostri concittadini verso gli inceneritori o il termovalorizzatori (i secondi non solo bruciano i rifiuti ma producono anche energia di cui avremmo molto bisogno visto che siamo uno Stato totalmente dipendente da altri Paesi, con tutto quello che comporta in costi economici e anche in geopolitica). Facciamo l’esempio di Brescia che alimenta così l’80% del riscaldamento di tutta la città. Non esiste nessuno studio che provi che a Brescia ci sia una maggiore incidenza di tumori o malattie respiratorie.
L’impianto di Bolzano, controllato al 100% da una società pubblica, la Eco-center è la dimostrazione tangibile, utilizzando una delle tecnologie più all’avanguardia nel mondo, che si tratta di stabilimenti sicuri e convenienti. Produce energia elettrica e termica in grado di riscaldare 10 mila alloggi e illuminarne 20 mila.
Le nostre vicine di casa, Germania e Francia, hanno il triplo dei nostri impianti e nessun problema di salute per i loro cittadini. Le paure sono sempre irrazionali, per questo politica e informazione dovrebbero aggiornare la popolazione sui nuovi traguardi della tecnologia. Il famoso inceneritore di Copenaghen, sopra cui si può sciare, (è alto 85 metri) ha emissioni molto al di sotto dei limiti di legge. E potremmo continuare all’infinito con esempi che ci provano quanto tempo, soldi e salute stiamo realmente perdendo.
Gli impianti termici non sono utili solo per i rifiuti urbani ma anche, forse soprattutto, per il trattamento dei rifiuti speciali. In Sardegna, il Gruppo Ecotec studia da oltre un decennio, presso il proprio Centro ricerche di Macchiareddu (Cagliari), l’applicazione di alcuni particolari processi termici, basata sulla tecnologia del plasma, per il recupero dei metalli e di energia dai rifiuti
A proposito di salute facciamo due esempi per capire quanto sia rischioso non concludere il ciclo di smaltimento all’interno dei nostri confini nazionali.
Come riportato nei quotidiani, nei giorni successivi al rogo di via Chiasserini a Milano, nell’aria si è diffusa una quantità di diossina fino a 100 volte il limite europeo consentito, con un picco 22 volte superiore il valore guida fissato dall’Oms (0,3).
Secondo esempio. Sapevate che i fuochi d’artificio di Capodanno a Napoli producono la stessa diossina di 120 termovalorizzatori in un anno?
Forse, in attesta che l’economia circolare diventi una realtà, sarebbe opportuno adottare impianti come quello di Bolzano, per evitare due cose: intossicarci con i roghi e dare alle mafie un motivo in più per arricchirsi.