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Cosa si intende con il termine “tailings”? In italiano si traduce “sterili” e nell’industria mineraria si riferisce al materiale di scarto, un rifiuto appunto, che rimane dopo che la maggior parte dei minerali desiderati sono stati estratti attraverso la lavorazione in impianto della miniera. In base al processo che li generati, i tailings sono operativamente chiamati con nomi diversi. Un esempio tipico è quello dei fanghi rossi, che prendono il nome dal tipico colore (dovuto di solito al contenuto di ossidi di ferro) e non danno indicazioni sul processo che li ha generati.

Infatti, si chiamano fanghi rossi sia i residui della raffinazione della bauxite con processo Bayer sia i residui della lisciviazione acida dei minerali contenenti zinco e piombo. In generale questi materiali, per quanto definiti “sterili”, sono materiali che contengono ancora concentrazioni significative dei metalli oggetto dell’estrazione, con l’aggravante che le matrici sono costituite da particelle molto fini di roccia macinata o frantumata e minerali mescolati con acqua e altre sostanze chimiche aggiunte nei processi di estrazione di metalli dai minerali.

Perché ce ne occupiamo? Per quanto appena visto, lo smaltimento degli sterili è un passaggio fortemente critico nella filiera di estrazione di metalli dai minerali, per le sue potenziali conseguenze ambientali. Ogni tipologia di sterili ha le sue specifiche problematiche, ed in passato la gestione di tali scarti era fatta con la sola ottica del “liberarsi del problema” senza badare alle conseguenze. Solo in tempi relativamente recenti, l’evoluzione delle normative ed una crescente sensibilità ambientale hanno contribuito ad indirizzare la gestione dei tailings verso modalità più rispettose dell’ambiente e della salute pubblica.

Facciamo alcuni esempi; i tailings della raffinazione della bauxite, per produrre allumina smelter grade, sono scarti generati nella filiera di produzione industriale di alluminio. Ogni anno vengono prodotti, a livello mondiale, circa 150 milioni di tonnellate tali scarti. Una singola raffineria di bauxite può produrre da 1 milione fino a 2,5 milioni di tonnellate anno di “bauxite residue” o “red mud” o “fango rosso”.

Questo materiale ha un contenuto di soda caustica, residuo del processo estrattivo, sufficiente a rendere il materiale corrosivo. In passato, questo materiale veniva smaltito, col suo carico corrosivo, abbancandolo in bacini di lagunaggio oppure disperdendolo in mare (pratica che oggi ci sembra assurda ma che era prassi comune, in Europa Occidentale, anche in un recente passato). In alcune situazioni più “evolute”, il materiale veniva abbancato in bacini di stoccaggio, previa neutralizzazione del carico corrosivo sfruttando il potere tamponante dell’acqua di mare. Questa condotta ha avuto, negli anni, pesanti conseguenze.

La dispersione a mare, finché ha continuato ad essere praticata, ha fortemente danneggiato la pesca, mentre l’abbancamento del materiale non neutralizzato ha causato, nel 2010, il famoso incidente di Ajkai, in Ungheria. In questa occasione, la rottura delle dighe di contenimento del bacino di lagunaggio dei fanghi rossi ha causato la dispersione del contenuto nel circondario, invadendo alcuni villaggi vicini. In conseguenza di ciò, morirono dieci persone e circa centocinquanta persone furono seriamente ustionate dal materiale corrosivo. Inoltre, circa quaranta chilometri quadrati di territorio furono contaminati con i fanghi tracimati.

Da quel momento, nell’Unione Europea, i tailings “bauxite residue” devono essere neutralizzati, prima del loro abbancamento.

Un altro esempio di contaminazioni indotte dalla non corretta gestione di tailings sono gli sterili provenienti dall’estrazione di minerali solfidici (ad esempio le blende e le galene da cui estrarre zinco e piombo). Questi sterili contengono grandi quantità di pirite e solfuro di ferro, che sono gli scarti di risulta dopo l’estrazione dello zinco e del piombo, oltre a quantità residue di zinco e piombo.

Purtroppo, questi scarti di lavorazione sono reattivi all’aria in presenza di microrganismi che generano reazioni che aiutano la solubilità dei metalli residui; inoltre le stesse lavorazioni che hanno generato i tailings anno reso comunque “mobili” e lisciviabili i metalli in essi contenuti. Questi fenomeni possono dare origine, se gli abbancamenti di tailings non sono gestiti correttamente, al cosiddetto “drenaggio di mine acide”, ovvero il trasporto e dispersione nell’ambiente di metalli e contaminanti, mediante la loro dissoluzione in acqua, ad esempio per esposizione a precipitazioni atmosferiche. Questi fenomeni sono noti, ad esempio, negli enormi abbancamenti lasciati in eredità, in Sardegna, dalle pregresse attività estrattive e di raffinazione del minerale zincifero.

L’evoluzione successiva delle attività di lavorazione delle blende e galene ha imposto, in Europa, la creazione di discariche controllate per gli sterili e, successivamente, l’impiego di processi di stabilizzazione ed inertizzazione dei materiali, prima di poterli abbancare in esse.

Ovviamente, a livello mondiale, la gestione dei tailings dipende dall’origine e composizione dei materiali e dalle normative locali vigenti. In Europa occidentale, gli abbancamenti pregressi sono oggetto di studi ed attività per ridurre o eliminare l’impatto ambientale e sulla salute pubblica, in ossequio al quadro normativo.

Ecotec studia da oltre venti anni dei trattamenti su tailings della produzione dello zinco. Inizialmente tali trattamenti erano mirati a rendere stabile e inertizzato chimicamente il materiale da abbancare, ed il risultato di tali studi ha prodotto un processo brevettato, utilizzato su licenza da stabilimenti ex ENI, attualmente Glencore. Negli ultimi dieci anni, con l’avvento dei dettami dell’economia circolare, la ricerca si è concentrata sull’estrazione dei metalli ancora contenuti negli sterili (principalmente zinco, piombo, argento e ferro) in forma chimica valorizzabile. Anche in questo caso i processi messi a punto sono stati protetti da brevetti dedicati e sono prossimi all’impiego industriale.