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Se crediamo che una volta risolta la dipendenza dal petrolio, l’umanità avrà risolto tutti i suoi problemi (ovviamente ci riferiamo al settore energetico produttivo), ci sbagliamo di grosso. La popolazione mondiale aumenterà nei prossimi decenni e con essa ovviamente crescerà a dismisura la richiesta di risorse per l’industrializzazione e la digitalizzazione.
Cosa significa questo?
Che nella corsa al progresso tecnologico gli Stati faranno a gara per assicurarsi l’accesso alle materie prime. Da sottolineare che la necessità di fermare il cambiamento climatico e la ormai, quasi da tutti, accettata transizione energetica, ha bisogno di metalli, minerali e materiali biotici che sono utilizzati nelle tecnologie che permettono zero emissioni.
Le previsioni arrivano dall’Ocse che stima che la domanda globale di materie prime raddoppierà nel 2060. Oggi ne usiamo 79 miliardi di tonnellate, fra 40 anni il fabbisogno crescerà a 167 miliardi di tonnellate. L’evoluzione tecnologica sempre più rapida, insieme alla crescita delle economie emergenti, hanno portato a una domanda crescente, anche se a volte volatile, di diversi metalli e minerali.
Garantire l’accesso a una fornitura stabile di tali materie prime critiche è diventato un importante sfida per le economie nazionali e regionali con limitate risorse naturali autoctone, come l’economia dell’Ue, che dipende fortemente dalle forniture importate di molti minerali e metalli necessari all’industria.
Per questo si teme (e lo stiamo vivendo oggi nella guerra in corso) che la concorrenza per le risorse (limitate) poterà a instabilità politica e conflitti fra Paesi importatori.
Come afferma il Green Deal europeo del 2019, illustrato dalla Commissione Ue, si riconosce l’accesso alle risorse come una questione strategica di sicurezza per poter arrivare al 2050 senza generare più emissioni nette di gas a effetto serra. Per raggiungere l’obbiettivo di neutralità climatica è necessario un continuo e sostenibile approvvigionamento di materie prime e secondarie che sono essenziali per i settori
dell’energia rinnovabile. Pensiamo all’e-mobility, al digitale, allo spazio e anche alla difesa.
La politica europea vuole evitare di trovarsi dipendente da singoli Paesi. Stiamo assistendo oggi ai risultati di una dipendenza esclusiva e quindi dannosa con la Russia per quanto riguarda il gas che sta provando spiacevoli conseguenze economiche in Europa.
La nuova realtà geopolitica ci ha costretti ad agire in fretta e drasticamente transitando verso l’energia pulita per aumentare così l’indipendenza energetica dell’Ue da fornitori inaffidabili come la Russia, appunto.
Si chiama REPowerEU, il piano della Commissione europea che vuole rendere il nostro Continente indipendente dai combustibili fossili russi ben prima del 2030.
La Ue ha dunque come obbiettivo anche una diversificazione strategica e una netta riduzione dalle dipendenze da singoli paesi terzi, per quanto concerne le materie prime.
Ma quale è la reale situazione? Prendiamo dalla Cina circa il 98% delle terre rare, dalla Turchia il 98% del borato, dal Sudafrica il 71% del platino e una percentuale ancora più alta per i materiali del gruppo del platino: iridio, rodio, rutenio. Il Cile ci fornisce il 78% del litio.
Per ognuno di questi materiali siamo fortemente dipendenti da un singolo Stato. L’unica possibile diversificazione resta quella di non comprare più materie prime dallo stesso Paese.
Per quanto l’Unione europea si sforzi a diversificare la Cina resta il più grande fornitore globale per la maggior parte delle materie prime critiche, parliamo del 44% del materiali, soprattutto di antimonio, bismuto, magnesio, REE, ecc.
Il fatto che una sola potenza mondiale detenga quasi la metà delle risorse aumenta vertiginosamente il rischio di carenza di approvvigionamento e la vulnerabilità dell’offerta lungo la catena di produzione.
La probabilità di interruzione della fornitura è ulteriormente aumentata dal fatto che il trattamento, la fusione e la raffinazione di molti metalli sono concentrate in un piccolo numero di Paesi. Non solo, alcuni Paesi produttori controllano rigorosamente le esportazioni di materie prime al fine di salvaguardarle (sono limitate, non dimentichiamolo) e dunque per le loro industrie nazionali, imponendo una serie di misure di restrizione all’esportazione che portano a una limitazione concreta del libero mercato.
Per rispondere a questa crescente preoccupazione di garantire materie prime preziose per l’economia dell’Ue, la Commissione Europea ha lanciato nel 2008 la European Raw Materials Initiative. Una strategia integrata che stabilisce misure mirate per garantire e migliorare l’accesso alle materie prime per l’Unione.
 
Una delle prime azioni del RMI (Raw Materials Initiative) è stata quella di stilare un elenco di risorse assolutamente necessarie per l’Ue.
Il primo elenco è stato pubblicato nel 2011 e viene aggiornato regolarmente ogni tre anni. L’aggiornamento consiste nel valutare la criticità delle suddette materie prime in Europa, ossia quantità e qualità disponibili. Vengono considerate materie prime critiche quelle che hanno un’elevata importanza economica e un alto rischio di approvvigionamento. La prima valutazione risale al 2011 e aveva individuato 14 materie prime critiche. Nel 2014, 20 e nel 2017, 27.
Nel 2020 è stata pubblicata la quarta valutazione tecnica delle materie prime critiche per l’Ue che copre un numero maggiore di materiali. Ecco quali sono:
Antimonio, barite, berillio, bismuto, borato, cobalto, carbone da coke, fluorite, gallio, germanio, afnio, terre rare pesanti, terre rare leggere, indio, magnesio, grafite naturale, gomma naturale, niobio, metalli del gruppo del platino, fosfato roccia, fosforo, scandio, silicio metallico, tantalio, tungsteno, vanadio, bauxite, litio, titanio, stronzio.
 
Quale è lo scopo di questi report? La valutazione e l’elenco delle materie prime critiche hanno come intento quello di segnalare i rischi di approvvigionamento di materiali importanti per l’economia dell’europea. Contribuiscono a garantire la competitività delle filiere industriali dell’Ue dovrebbe anche aiutare a incentivare la produzione di materie prime critiche e facilitare il lancio di nuove attività minerarie e di riciclaggio. L’elenco viene utilizzato anche per stabilire la priorità dei bisogni e delle azioni. Ancora, serve da elemento di supporto durante la negoziazione di accordi commerciali e per
promuovere azioni di ricerca e innovazione.
 
Quali conseguenze ha la guerra in Ucraina scatenata dalla Russia sul mercato delle materie prime critiche?
Mosca è il principale produttore al mondo di palladio, il terzo di nichel e alluminio e tra i principali esportatori di acciaio e carbone. Insieme alla nemica Ucraina detiene il 10% delle riserve di ferro mondiali.
Si parla tantissimo della crisi del grano, definita anche guerra del pane, soprattutto per i risvolti drammatici che a breve termine avrà nel continente africano. Ma il grano è un materiale non critico, infatti ci sono altri luoghi al mondo da cui poterlo acquistare. Mentre 27 miliardi di tonnellate di ferro, molte delle quali conservate a Mariupol sono impossibili da rimpiazzare in pochi anni. Ci vogliono decenni per trovare nuovi giacimenti e far partire l’estrazione.
L’Ucraina ha da sola il 5% delle risorse minerarie globali. La più grande riserva di manganese d’Europa, la seconda di gallio e ancora di uranio e titanio e oltre il 20% di riserve di grafite (la quinta nazione al mondo).
E il titanio? E’ vero che è presente ovunque ma ricordiamo che solo poche nazioni lo producono a scopi commerciali. A cosa serve? Dagli aerei, alle navi, ai satelliti, fino alle protesi mediche.
Quest’anno possiamo dire con estrema certezza che non avremmo abbastanza carbone, alluminio, palladio e nichel (e senza il nichel come produrremo automobili a emissioni zero?). Non solo, per produrre batterie per veicoli elettrici serve anche il litio- che è vero, non acquistiamo dall’Ucraina -ma in Ucraina, proprio nel Donbass ci sono importanti giacimenti che erano stati attenzionati da molte società minerarie
internazionali e che potevano servire per la diversificazione dall’importazione dal Cile.
Senza platino, palladio e titanio lo sviluppo tecnologico avrà una brusca frenata. Perché forse non sapete che questi tre materiali sono utilizzati per i convertitori catalitici che riducono la concentrazione di inquinanti e le emissioni. Fondamentali soprattutto per le celle a combustibile dei veicoli a idrogeno e negli apparecchi per l’elettrolisi.
E il nostro Paese?
Le principali materie prime strategiche per l’Italia, in quanto a volumi importati nel 2020, sono, nell’ordine:
1. Oro
2. Bauxite (necessaria alla produzione di allumina e, conseguentemente, di alluminio)
3. Argento
4. Platinoidi (necessari alla manifattura dei catalizzatori per i veicoli)
5. Rame (largamente usato nell’industria elettrica ed elettronica per la sua conducibilità)
6. Nichel (serve per produrre l’acciaio inossidabile e le batterie)
7. Zinco (si utilizza nelle leghe come l’ottone)
8. Titanio (impiegato nei settori aerospaziali, chimico e biomedicale)
9. Carbone coke (utilizzato nella produzione dell’acciaio)
10. Manganese (utilizzato nella produzione dell’acciaio)
Molte di queste materie critiche, come avete potuto leggere nell’elenco, arrivano proprio dalle terre in guerra.
 
Il Gruppo Ecotec processa da quasi 20 anni soluzioni di economia circolare, rivolte al recupero dei metalli e leghe preziose ed è attualmente impegnato in progetti per l’estrazione, da residui industriali di diversa natura, di elementi critici quali scandio e vanadio e strategici quali nichel, alluminio (allumina) e ferro.